La Torre di Totò

 

 

 

 

Forse quella notte piovosa non era tra le preferite di Tanino, ma chissà perché, la sua mente ripescava pensieri vivi e colorati come fiori di primavera.

-          Tani’ a cu pensi?

-          Nenti Nina, vai a dormiri che è tardi!

L’ipnotico rumore della pioggia amplificava il sapore di quei pensieri così vicini e reali.

Le luci del paese riflettevano su piccole gocce che scivolavano lentamente sui vetri di quella finestra affacciata sul mare. Una distesa blu cobalto increspata da onde schiumose, sotto un cielo livido che presagiva tempesta.

Tanino aveva in mano un sigaro spento che ogni tanto accendeva per il piacere di accompagnare il gusto con l’aroma della grappa, una bottiglia centenaria che teneva sempre vicino alla finestra.

Se ne stava seduto in una poltrona di pelle ormai fatiscente, con due enormi braccioli tracciati dal tempo ed un cuscino altrettanto malconcio.  Amava quella poltrona, era il suo rifugio e non badava all’estetica bensì al valore affettivo; oltretutto la trovava straordinariamente comoda.

-          Tanì, ma fa friddu! Prendi stu scialle , mettitillo supra li spaddi altrimenti prendi friscu!

Così prese lo scialle, si mise la coppola di velluto beige in testa e, compiaciuto dalle attenzioni della moglie, ammiccando accese il suo sigaro:

-          Ah Ninuzza, vita mia bedda se non ci fossi tu, a st’ura sarei perso.

-          Eh mascaratu, quannu ti fazzu li coccole sono brava, però se la matina nun trovi lu cafè nun sono più brava, li voci li fai arrivari finu alla luna ca stai guardando! talìa quantu sei beddo quando ridi…. Eh caratteraccio!

-          Ninuzza mia bedda, tu mi devi capiri, oramai ho tanti anni e borbotto spesso, sono anche ripetitivo, ma ti vogghiu bene jorno dopo jorno sempre di più, nunustanti tu abbia 15 anni menu di mia e sembri mi nonna.

-          Guarda prima ca mi fai arrabbiari vado a coricarimi e ti lascio sulu che già u capivu che hai lo spirito stuzzicanti e mi vuoi fari arrabbiari.

-          Ma sempre bedda sei, Ninuzza mia.

-          Se se! Spegni sta luce prima di andare a letto e chiudi la porta ca stasira fa freddo.

-          Buonanotte Ninu’, un bacetto non me lo dai?

-          Te lo meriti!? Non te lo meriti! Buonanotte Tani’!

Tanino e Nina abitavano in un piccolo paese chiamato Portotorre. Un paese di pescatori, famoso per la sua torre antica alla fine del molo.

A Portotorre si narra di una leggenda accaduta centinaia di anni fa: la storia di un ragazzo che, come prova d’amore, si tuffò dalla cima della torre. Un’impresa ardua considerando l’incredibile altezza.

Più la gente tentava di convincere il giovane Toto’(questo era il suo nome)  a non cimentarsi in quell’impresa, più il suo coraggio  prendeva il sopravvento, convincendolo a realizzare la sua prova d’amore.

Fu così che quel giorno, davanti gli occhi della ragazza e di centinaia di paesani, si tuffò.

Ma dal fondo non risalì più.

Lo cercarono fino a notte inoltrata senza successo. Sembrava che il mare l’avesse inghiottito.

Premonitori lampi annunciarono l’alba e quella tempesta che costrinse la fine delle ricerche. Tutti furono costretti a rientrare in casa con la disperazione della perdita del giovane nel cuore. Anche il cielo, con la sua pioggia incessante, sembrava piangere la scomparsa del giovane Totò.

Si dice che la sua fidanzata dopo qualche mese si ammalò di dispiacere, e si spense senza più sorridere.

La cosa incredibile, da quel che si racconta, è che l’indomani quando la tempesta finì e la gente, armata di buone intenzioni ma poca speranza, tornò per continuare le ricerche, rimase stupita da un sinistro cambiamento: la torre, solitamente bianchissima e ben curata, divenne un minaccioso edificio dal colore grigio malcelato da una fitta coltre di edera.

Uno spettacolo raccapricciante.

Persino la porticina non si aprì più, neanche forzandola, come se fosse ostruita da un’enorme massa di cemento.

Da allora nessuno tentò di aprire la porta o ristrutturare la Torre. Decisero di lasciarla così e di darle un nome: “La Torre di Totò”.

Tanino amava raccontare spesso questa storia alle persone che incontrava passeggiando, soprattutto ai ragazzini che amavano tuffarsi dalla punta del molo.

-          Picciriddi, faiciti attenzione che vi finisci come la buonanima di Toto’, dove c’è mare non c’è taverna! La vedete la Torre? Da quella Torre, un picciotto come voi…

Fu subito interrotto dai giovani che sguazzavano troppo allegramente per accettare di essere interrotti da qualche saggia raccomandazione:

-          Zù Tanino ancora a ‘sta storia credete? Chista è leggenda metropolitana, lo volete capire o no?

E continuarono a ridere e a giocare spensierati tra allegri zampilli.

Un pescatore che stava là, seduto su un secchio ribaltato e con una cannetta in mano, ridendo sotto i baffi disse:

-          Zù Tanì, sono picciutteddi e poi non possiamo sapiri mai se è vero oppure no, a me ‘sta storia ma cuntò  mi nonno quando ero nico.

Nel frattempo stavano allestendo la piazza per la festa.

Come tutti gli anni, l’11 agosto, si festeggiava un’antica usanza, “ Ra Maronna a mare”.

La processione avveniva nel primo pomeriggio. Tutti gli abitanti di Portotorre e parecchi dai paesi limitrofi accorrevano per vedere lo spettacolo della processioni in mare.

Un grande peschereccio di legno con a bordo il parroco, trasportava la graziosa statuina della madonna protettrice del paese, accompagnata dal suono festoso delle sirene del porto e dallo sfolgorio di luci e fiaccole che addobbavano le imbarcazioni che facevano da cornice alla processione.

Molti sceglievano di seguire quella sacra e meravigliosa liturgia dalla panoramica piazza del bel vedere.

Dopo aver fatto il solito giro per la benedizione, il peschereccio si fermava dinanzi la torre per celebrare la messa in segno di pace.

La piazza si agghindava di luci e bancarelle.

Una bancarella particolarmente luminosa era u siminzaru, vendeva semi di girasole e ceci tostati comunemente chiamati calia e simenza . Si trattava di un’enorme bancarella variopinta con affreschi siciliani e tante lampadine che illuminavano ogni suo particolare.  Non poteva passare inosservata neanche da lontano non solo per lo sfavillio, ma anche per il fumo delle caldarroste che ininterrottamente arrostiva.

Finita la processione veniva il tempo dell’antico gioco marinaro del “palu insapunatu”.

Competizione che vedeva i partecipanti gareggiare per raggiungere una bandiera posta all’estremità di un palo liscio e reso particolarmente  scivoloso da un’abbondante insaponatura. Questo palo si trovava sulla prora di un peschereccio strategicamente posizionato dove tutti potevano vedere.

Chi raggiungeva tale obiettivo riceveva la benedizione dalla madonna.

Decine di giovani scalzi e speranzosi si accalcavano all’estremità del palo. Aspettando il proprio turno pregavano e prima di muovere il primo passo si facevano il segno della croce pensando alla grazia da chiedere alla Madonna qualora fossero riusciti a guadagnare la bandiera. Su quel palo viscido quasi tutti finivano in acqua.

Arrivata la sera, straordinari fuochi pirotecnici segnavano allegramente il cielo. Spari ed espressioni di meraviglia segnavano la fine della colonna sonora di quella giornata speciale..

In quel momento, mentre Tanino guardava dalla finestra, trasalì al suono della voce di Nina.

-          Tanì, ma chi fai ancora ca’, non sei andato pi nenti a dormiri?

-          Ninu’ curò, ma che ora s’è fatta?

-          Le otto di matina Tanì, amunì alzati e prendi nu pocu d’aria.

-          Ma u facisti lu cafè?

-          Eh no, ti lu vai a prendere al bar stamatina, così la finisci di dire che sembro tua nonna.

-          Ma io scherzo Ninuzza mia, dammi un bacino.

-          Toh, tieni il bacino, basta che esci, oggi sono nervosa e tu sai perché.

-          E tu non ci pensare Ninù, io è da una vita che non ci penso più.

-          Intanto a questa festa stupida ci vai sempre, non te la perdi mai.

-          A festa!! È vero !! fammi scendere va.

Tanino diede uno sguardo fuori dalla finestra e notò un ragazzino piccolo, sulla decina d’anni, era bello e scuro, con un paio di pantaloni al ginocchio, una canottiera bianca e piedi scalzi.

L’attenzione di Tanino si concentrò su questo ragazzino. Non distolse lo sguardo neanche quando si infilò e abbottonò la camicia.

-          Ninu’, guarda ‘stu picciriddu come fissa la torre … è da quasi un’ora che è là … ma che guarda?

-          Ecco Tanì, hai trovato un altro picciotto al quale raccontare la storia di Toto’.

-          Sei selvaggia Ninù, quando arriva l’11 di Agosto, diventi intrattabile, ora per ripicca io scendo e vado a raccontare la storia.  Dammi un bacino.

-          Vattene!

-          Che brutto carattere Ninuzza!!

Tanino fu costretto a prendere il suo solito caffè mattutino al bar della piazza. Poi si diresse rapidamente verso la Torre per vedere se quel ragazzino fosse ancora lì.

Lo trovò ancora lì, imbambolato a guardare la torre con aria sognante ed incuriosita.

-          Piccirè vieni qua!

-          Buongiorno Signore!

-          Ma che guardi da due ore?

-          Niente, cuntano tante storie su questa torre e m’incuriosisce.

-          Ma tu di dove sei?

-          Sono di Castelpineto, qui vicino.

-          Si, conosco questo paese, e che vieni a fare qua?

-          Vengo per la festa du paisi e per fare u palu insapunatu.

-          Pure tu cerchi la benedizione dalla madonna? È difficile figlio mio ed è pure pericoloso.

-          Si lo so, ma ci voglio provare.

-          E dimmi, come ti chiami?

-          Mi chiamo Peppe.

-          Peppì veni qua sediamoci e parliamo un po’.

Tanino trovò ancora una volta un ragazzino al quale raccontare la storia di Totò. Però a differenza degli altri ragazzini, Peppino ascoltava interessato.

Aveva persino le lacrime agli occhi mentre ascoltava, così Tanino volle cambiare discorso accorgendosi della malinconia che questa storia metteva al piccolo.

-          E dimmi ‘na cosa Peppì … che venisti a domandare alla madonna?

-          Se glielo dico mi promette che non si mette a ridere?

-          Te lo giuro Peppì!

-          Sono venuto a domandare la liberazione di Totò da questa torre.

Taninu, come se fosse stato colpito da un fulmine in capo, s’ammutolì abbassò la testa e disse:

-          Ma allora ci credi veramente?

-          Si signore, ci credo veramente!

-          Beh Peppì che vuoi che ti dica, stai attento al palo insaponato, ancora sei piccolo ma hai il cuore di un grande uomo e spero che la madonna ti faccia la benedizione che desideri.

Tanino andò via dando un pizzicotto sulla guancia al piccolo Peppino e s’incamminò verso la piazza con aria pensierosa e triste, circondato dal paese in festa.

Dopo la processione decise di andare a casa per vedere il gioco del palu insapunatu.

Volle rimanere in piedi davanti alla finestra, invitando Nina al suo fianco. Le raccontò, con la voce un po’ vinta dall’emozione, la conversazione avvenuta con il piccolo Peppino.

Nina si commosse e decise di restare al fianco di Tanino, abbracciata, a guardare.

- Tanì, amore mio, ma com’è che ‘sto ragazzino t’ha creduto?    Oramai nessuno chiù crede a ‘sta storia, la racconti solo tu e ti prendono in giro … stu picciriddu sceso apposta da un altro paisi per domandare la grazia di una cosa che non ci appartiene …

E mentre Nina parlava quasi nervosamente, fu interrotta dal silenzio.

Era il turno di Peppino.

Peppino si fece il segno della croce, alzo gli occhi in cielo, chiuse gli occhi e riaprendoli guardò la torre poi con passo veloce iniziò a camminare sopra al palo insaponato come un grillo, fino ad arrivare ad afferrare la bandierina. Al termine della prova si tuffo in mare gridando di felicità tra gli applausi fragorosi degli astanti.

La sirena del peschereccio diede musica all’evento riuscito.

I paesani si abbracciarono … anche Tanino e Nina s’abbracciarono ma con la tristezza scolpita in viso.

-          Tanì, Peppino è talmente picciriddu che adesso pensa veramente alla liberazione di Totò dalla torre. E’ un’anima pura, è piccolino e la madonna la benedizione gliela dà.

-          Ninù, lo so … in tutti questi secoli sono stato un egoista, cambiavo il mio nome e tenevo in vita la mia storia raccontandola ai ragazzini, così questa storia non moriva mai e il nostro amore restava eterno, io e te, vicini e chiusi in questa torre per anni e anni.

-          Totò, tu quando ti gettasti dalla torre mi facisti tanto male così mi ammalai e morii qualche mese dopo di te. Che son morta non m’importa niente, la mia vita non avrebbe avuto senso senza di te, l’importante è che ti ho ritrovato. Io non ti ho abbandonato mai, ora non so cosa succederà con questa liberazione ma devi sapere … vita mia, che io sarò sempre accanto a te e non ti lascerò mai ... Toto’, abbracciami.

 E dammi un bacino.